DROMOS FESTIVAL – XIX EDIZIONE – PRIGIONI – 1-15 AGOSTO 2017 Reviewed by admin on . PRIGIONI «Tutti siamo chiusi in una prigione. La mia me la sono costruita da solo, ma non per questo è facile uscirne». (Giorgio Faletti) Per il suo XIX anno di PRIGIONI «Tutti siamo chiusi in una prigione. La mia me la sono costruita da solo, ma non per questo è facile uscirne». (Giorgio Faletti) Per il suo XIX anno di Rating: 0

DROMOS FESTIVAL – XIX EDIZIONE – PRIGIONI – 1-15 AGOSTO 2017

DROMOS
PRIGIONI
«Tutti siamo chiusi in una prigione. La mia me la sono costruita da solo,
ma non per questo è facile uscirne».
(Giorgio Faletti)



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Per il suo XIX anno di vita il Festival Dromos affronta, in linea con una scelta progettuale che da anni ne caratterizza la programmazione, un tema ostico ma di cocente attualità: le prigioni, mentali prima che fisiche, i recinti nei quali ciascuno, più o meno consapevolmente, decide di entrare fino a rimanerne sopraffatto. Il titolo Prigioni, potrebbe indurre a pensare ad Antonio Gramsci e alla sua morte, avvenuta esattamente ottant’anni fa, una morte accelerata dalla lunga prigionia inflittagli dal regime fascista e, pertanto, al carcere come interminabile e spesso fatale luogo di espiazione di una colpa o come strumento di censura e di cancellazione del libero pensiero. Se non mancheranno approfondimenti in tal senso è pur vero che lo spirito del festival fa proprio, viceversa, l’aforisma di Giorgio Faletti che colloca, come premesso, la dimensione della cattività come condizione esistenziale, spirituale e culturale più che fisica: «Tutti siamo chiusi in una prigione. La mia me la sono costruita da solo, ma non per questo è facile uscirne». Prigioni mentali che prendono la forma di tortuosi labirinti apparentemente seducenti, nei quali ci si perde e dai quali difficilmente si riesce a venirne fuori se non dopo un lungo percorso, spesso doloroso, di autoanalisi, presa di coscienza dei propri limiti e delle proprie paure, quelle che inducono all’erezione di quei muri, «dapprima riparo e subito prigione» (Marguerite Yourcenar). Alla musica, anch’essa labirintica nelle sue diverse declinazioni e contaminazioni, all’arte, alla fotografia, alla letteratura e al cinema il compito di evocare tale condizione di schiavitù o detenzione che non necessita di un reato ma nella quale, spesso, ci si assuefà. E allora, allargando lo sguardo dal singola alla società, le ricerche e le sperimentazioni estetiche ancora una volta si assumeranno l’onere di osservare folle eterodirette, apparentemente libere ma mentalmente prigioniere di pregiudizi, di fobie, di idiosincrasie, di processi interiori, sociali e culturali capaci di rendere schiavi, meccanismi messi in atto quotidianamente che finiscano per farci succubi di situazioni, di persone e di prodotti di cui ci circondiamo e dai quali veniamo avviluppati. Catene materiali e spirituali di cui non possiamo o non vogliamo liberarci, per pigrizia, per paura o perché soverchianti, ma contro le quali basterebbe riannodare quel filo rosso della coscienza critica e dell’impegno civile, troppo spesso relegati nel sottoscala della nostra ragione eppure i soli capaci di condurci fuori, finalmente, da oscuri e claustrofobici labirinti della mente … a riveder le stelle.
Ivo Serafino Fenu

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